Sisto V
Sisto V e la giustizia
Nel 1586 Sisto V istituisce a Montalto il Presidato, un territorio di 17 città e terre con a capo un Preside-Governatore con pieni poteri nell’amministrazione della giustizia compreso lo ius sanguinis. A seguito di tale istituzione si dovette provvedere a una struttura carceraria idonea a far fronte alla nuova e più vasta realtà territoriale. Le condizioni per i reclusi erano molto rigide: ne sono testimonianza le voci di coloro che lì si sono spenti. L’eccezione è stato Fortunato Sante, nato proprio fra le mura del carcere dalla madre Felice di Porchia, aiutata dalla moglie del carceriere.
Alla chiusura del secolo, lo Stato Pontificio è vessato dalla piaga del banditismo, che Sisto V combatte con ferrea determinazione. Il Pontefice mostra il pugno di ferro contro i fuorilegge e con la Bolla “Hoc nostri” promulga una vera e propria dichiarazione di guerra contro “Homicidis, latronibus, varium grassatoribus, raptoribus, incendiariis, sicariis…aliisque simili bus notoriis delinquenti bus et facinorosis hominibus”. In questo clima, la giustizia di Sisto non fa sconti a nessuno, tanto da condannare anche suoi conoscenti di vecchia data alla pena dell’impiccagione perché processati per banditismo.
Il banditismo era talmente diffuso che il primo Vescovo di Montalto Mons. Paolo Emilio Giovannini fu egli stesso vittima di rapimento, rilasciato dietro pagamento di un cospicuo riscatto. Fra i suoi sequestratori, oltre a due suoi nipoti, vi era anche Brandimarte di casa Vagnozzi, originario di Porchia e fra i più noti banditi del Piceno. Unitosi alla compagnia di Battista Amici, compagno di misfatti dei più famosi Marco e Luca Sciarra, autore dei più atroci delitti, detenuto presso le carceri di Montalto e torturato, si riscattò, non per rimorso di coscienza ma per utile tornaconto: in virtù di un decreto pontificio che consentiva ad un bandito di non essere perseguito dalla giustizia in caso avesse ucciso un altro bandito, uccise il capobanda Marco Sciarra e ottenne l’assoluzione.