Sulle origini della famiglia Sacconi vi è una consolidata tradizione, non sostenuta tuttavia da documenti provati, che farebbe discendere il casato dai Tarlati di Pietramala, signori di Arezzo, con capostipite Pietro detto il Saccone, così chiamato per aver conquistato e messo a sacco Città di Castello. In realtà i documenti attestano che la famiglia proviene da Villa Casale di Montegallo, ai piedi del Vettore e il nome del casato, originariamente un soprannome, rimanda ai “sacconi”, seguaci dell’eretico ascolano Meco del Sacco. Nei primi decenni del 600 i Sacconi sono stabilmente insediati a Porchia. Molti saranno i Sacconi presenti nelle cariche amministrative ed ecclesiastiche e i documenti di archivio attestano un’attività senza sosta e una notevole intraprendenza economica. Anche se attualmente la città non annovera più tra i residenti alcun discendente della famiglia, la memoria dei Conti Sacconi resta viva attraverso diverse testimonianze come la toponomastica, l’intitolazione di edifici pubblici e privati, l’epigrafe apposta all’esterno della casa natale di Giuseppe Sacconi e il monumento a lui dedicato in Piazza Umberto I. Deve il suo nome alla famiglia anche uno dei più imponenti edifici cittadini, chiamato per l’appunto, Palazzo Sacconi.
Tra i Sacconi più illustri il Conte Agostino Rosati-Sacconi, autore di un copioso volume che registra la genealogia e i momenti salienti delle sue vicende familiari; il Cardinal Carlo Sacconi, cardinale e arcivescovo e suo nipote Quintilio Sacconi che, affascinato dell’eloquenza e dal sapere dei padri gesuiti, decide di diventare un miles Christi e, per tutta la vita, senza respiro né riposo, sarà “Abouna Saroufim”, padre Serafino, tra i villaggi delle aspre montagne del Libano e lungo le strade infuocate dell’Alta Galilea.
Il più noto dei Sacconi è però sicuramente Giuseppe, figlio del conte Luigi e di Teresa Massi, architetto progettista dell’Altare della Patria. Giuseppe nasce a Montalto nel 1854, studia arte a Fermo, presso il rinomato Istituto per le arti e i mestieri “Montani”; qui il suo precoce talento per il disegno venne ben coltivato e apprezzato dai principali esponenti del neoclassicismo marchigiano: l’architetto Gianbattista Carducci – di cui frequenta lo studio – e lo scultore Emidio Paci. Grazie a questi riconoscimenti, terminati gli studi marchigiani, si iscrisse al corso di architettura dell’Istituto delle Belle Arti di Roma. Qui, tra l’altro, viveva lo zio ecclesiastico Carlo Sacconi, cardinale e già nunzio apostolico in Francia. Nel 1874 ottenne una borsa di convittore da parte del Pio Sodalizio dei Piceni, l’istituzione che ha il compito di aiutare i giovani marchigiani intellettualmente dotati, che ambivano a proseguire a Roma gli studi superiori. Nel 1884 partecipò al concorso internazionale per il Monumento Nazionale a Vittorio Emanuele II a Roma, meglio noto come il Vittoriano o “Altare della Patria”. Sacconi vinse e dedicò da quel momento tutte le sue energie a dirigere il cantiere di quello che doveva essere il più importante monumento della Roma capitale d’Italia. Si occupò di ogni più piccolo particolare, disegnando senza posa anche i dettagli costruttivi e stilistici. Risolse ottimamente i problemi costruttivi, che presto emersero, soprattutto a causa della presenza nel sottosuolo del Campidoglio di grandi cavità scavate in epoca antica nel colle. I lavori, iniziati nel 1885, lo impegnarono per tutta la vita e furono ultimati diversi anni dopo la sua morte. Il suo studio si trovava all’interno del monumento, nei locali attualmente ospitanti il Sacrario delle Bandiere. Il Vittoriano, di impronta neoclassica ed eclettica, è oggi visto dalla più aggiornata critica d’arte come un importante passo nella ricerca di uno stile nazionale, che doveva caratterizzare il Regno d’Italia da poco costituito. In seguito al progetto del Vittoriano, venne affidato a Giuseppe Sacconi il compito di ridisegnare Piazza Venezia e sempre a Roma progettò anche la tomba di Umberto I al Pantheon. Nel 1891, in seguito a una riforma riguardante la tutela dei beni architettonici, vennero istituite le soprintendenze ai monumenti; ebbe la direzione dell’Ufficio Regionale per l’Umbria e le Marche e, nei circa undici anni in cui fu direttore, pose mano a 111 interventi di restauro di tipo conservativo, ricostruttivo, di consolidamento e adeguamento funzionale: tra i tanti ricordiamo quello sulla Basilica di San Francesco ad Assisi ed il restauro della Basilica della Santa Casa, a Loreto. Al Sacconi va anche riconosciuta l’importante opera di catalogazione per poter consegnare alla storia una conoscenza affidabile e aggiornata del patrimonio monumentale. Morì a Collegigliato (Pistoia) il 23 settembre 1905 per un’emorragia cerebrale. Angelo Conti sul Marzocco del 1° ottobre 1905 scrisse: «Con Giuseppe Sacconi è scomparso il più grande musicista delle linee che vivesse nel nostro tempo». Oggi a Montalto una targa ricorda la sua casa natale e un monumento in Piazza Umberto I celebra la sua figura.
